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lunedì 18 gennaio 2016

Vecchie note

Nel Fedro di Platone si narra del mito dell’auriga che guida una biga trainata da due cavalli alati, uno bianco, elegante ed ubbidiente che corre verso il cielo, l’altro nero, rozzo e ribelle che va in direzione della terra. Chiaramente i due cavalli sono trasposizioni metaforiche di quell’ambivalente condizione umana che anela all’infinito ma che è sempre passibile di cadere nelle terrene passioni. Compito dell’auriga-ragione è guidare la biga con la collaborazione del cavallo bianco. Ma per andare dove?
A Platone, e a molti filosofi morali successivi, sarà sembrato che l’uomo fosse di volta in volta trascinato dal cavallo bianco o da quello nero ma non è da escludere che i cavalli, tutt'altro che domati, trascinino lacerti d'uomo.
Se Platone ha dato avvio ad una scissione tra le cose terrene e quelle divine, è anche vero che alla cultura dei greci del tempo mancavano gli elementi schizofrenici che hanno caratterizzato le epoche successive, quando alla debolezza dell’uomo si è aggiunto il sostrato culturale del dominio sulla natura che con l’avvento del cristianesimo ha raggiunto la sua apoteosi e che la nostra modernità, nata dalle lacerazioni interne al cristianesimo, ha sancito come regola aurea[1]. Sebbene Platone rappresenti il precursore della scissione tra le cose terrene e quelle divine, quanto il filosofo ci ha lasciato è sufficiente per capire che quando punta il suo dito al cielo[2] non ha in mente un Dio che vede l’uomo quale unico soggetto di dominio ma una “universa armonia”, alla quale anche Zeus deve sottostare, in cui “quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo meschino, ha sempre il suo intimo rapporto con il cosmo e un orientamento ad esso, […] Non per te infatti questa vita si svolge, ma tu piuttosto vieni generato per la vita cosmica”[3]. La politica di Platone, tecnica regia tra le arti umane, nasce dall’abbandono degli dei e da quell’abbandono sorge la consapevolezza che gli uomini “dovevano trovare il modo di avere autonoma cura di sé”[4]. Dalla intrinseca condizione di debolezza doveva conseguire la scelta della norma. Il cristianesimo Paolino, nato dalla matrice ebraica e uscito dalla nicchia tribale, opera un rovesciamento di questa posizione. Se da un lato ha avuto il merito di rivolgersi alle masse deboli e emarginate, dall’altra ha creato un esercito di parvenu dello spirito.
L’uomo greco, consapevole della propria debolezza, è costretto a farne un punto di forza. L’uomo cristiano, consapevole della propria debolezza, ne fa il vessillo del comando.

[1] Lynn White, 1967. The historical roots of our ecological crisis. Science, 155. pp. 1203–1207. Disponibile in italiano nel sito di Doppiozero.
[2] Scuola di Atene di Raffaello Sanzio nelle sale Vaticane, Platone punta il dito al cielo e Aristotele punta il dito verso la terra, a quest’ultimo è toccato quindi maggior paradosso per essere stato considerato per molti secoli dal Cristianesimo quale unica autorità del sapere. Il merito non gli ha risparmiato l’inferno al “maestro di color che sanno”, dopo la recente abolizione del limbo!
[3] Platone, Leggi, Libro X, 903c. Cit. da Umberto Galimberti, Psiche e techne – L’uomo nell’età della tecnica. Feltrinelli, Milano, 2005, p. 55.
[4] Platone, Politico, 274d. Cit. da Umberto Galimberti, Psiche e techne – L’uomo nell’età della tecnica. Feltrinelli, Milano, 2005, p. 256  

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