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giovedì 10 dicembre 2015

Tante domande

Di recente ho riletto le Favole al telefono di Rodari. Una delle mie preferite è quella del bambino che fa domande assurde. La favola riecheggia la massima di Claude Lévi-Strauss che sosteneva: "scienziato non è colui che sa dare le vere risposte, ma colui che sa porre le giuste domande". Tuttavia io provo una certa simpatia per il bambino della favola perché se nell'impresa della conoscenza è importante fare le domande giuste è altrettanto importante rovesciare la prospettiva, non essere convinti che non ci siano altri modi di porre le domande. Quelle domande, a prima vista assurde, potrebbero aprire nuovi mondi o rendere visibili cose che prima passavano inosservate.
Chissà, per quanto strano potrebbe essere interessante vedere che un pianeta è aggrappato alle radici di un misero filo d'erba!


Tante domande
C'era una volta un bambino che faceva tante domande,
e questo non è certamente un male, anzi è un bene.
Ma alle domande di quel bambino era difficile dare risposta.
Per esempio, egli domandava: - Perché i cassetti hanno i tavoli?
La gente lo guardava, e magari rispondeva: - I cassetti servono per metterci le posate.
- Lo so a che cosa servono i cassetti, ma non so perché i cassetti hanno i tavoli.
La gente crollava il capo e tirava via. Un'altra volta lui domandava:
- Perché le code hanno i pesci? Oppure:
- Perché i baffi hanno i gatti?
La gente crollava il capo e se ne andava per i fatti suoi.
Il bambino, crescendo non cessava mai di fare domande.
Anche quando diventò un uomo andava intorno a chiedere questo e quello.
Siccome nessuno gli rispondeva,
si ritirò in una casetta in cima a una montagna e tutto il tempo pensava delle domande e
le scriveva in un quaderno, poi ci rifletteva per trovare la risposta, ma non la trovava.
Per esempio scriveva:
«Perché l'ombra ha un pino?»
«Perché le nuvole non scrivono lettere?» «Perché i francobolli non bevono birra?»
A scrivere tante domande gli veniva il mal di testa, ma lui non ci badava.
Gli venne anche la barba, ma lui non se
la tagliò. Anzi si domandava: «Perché la barba ha la faccia?»
Insomma era un fenomeno. Quando morì, uno studioso fece delle indagini e scoprì che quel tale fin da piccolo si era abituato a mettere le calze a rovescio e non era mai riuscito una volta a infilarsele dalla parte giusta, e così non aveva mai potuto imparare a fare le domande giuste.
A tanta gente succede come a lui.
Gianni Rodari, Favole al telefono, 1962

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