Pagine

martedì 27 ottobre 2009

Della complessità e di altre sciocchezze

Il concetto di complessità mi interessa molto, è evidente. Già in un precedente post (La rete e la catena) ci avevo giocato. In quel post guardavo la faccenda da una prospettiva prevalentemente ecologica, mentre in questo post intendo privilegiare una prospettiva evoluzionistica. Diciamo che il concetto di complessità comincia ad interessarmi nel momento in cui è letteralmente sfrondato (o dovrei dire spurgato) dal carico ideologico che si porta dietro, che trovo difficilmente sostenibile e che non mi piace, e siccome non sono un seguace dell'oggettivismo al di fuori dello spazio e della storia sarò onesto, intendo sostituire quel carico ideologico con il mio, illudendomi che si tratti di una lettura oggettiva.
Solitamente quando scrivo qualcosa parto da un'idea che ha già una sua forma ma è man mano che scrivo che poi l'idea prende veramente corpo, magari diventa altro e non ha più niente dell'idea originaria o semplicemente diventa meno chiara alla fine rispetto all'inizio, ecco! diciamo che l'idea diventa più complessa e il rischio di perderne il filo è sempre più alto.
In qualche modo dovrei aver reso ciò che penso per cui se doveste trovarlo interessante fatemelo sapere, potrei trovarlo interessante anch'io!

domenica 25 ottobre 2009

Le radici europee!?

Oggi Asterix e Obelix compiono cinquant'anni naturalmente insieme a Idefix, il venerabile druido Panoramix e tutta la squinternata tribù gallica. E' sempre stato tra i miei cartoni preferiti. Anche adesso non me ne privo le poche volte che ho la possibilità di vederlo. E' uno di quei cartoni, come Will Coyote e Bip Bip, Gatto Silvestro e Titti, Tom e Jerry che mi fanno sempre ridere.
Vincenzo Mollica al tg di oggi sosteneva che una ragione della popolarità di Asterix è da ricercarsi nel fatto che un manipolo di persone sprovvedute, ingenue e del tutto disorganizzate lottano con successo contro un potere costituito e arrogante che dispone di forze di gran lunga più addestrate alla guerra. La spiegazione è interessante, ma chissà che non contribuisca anche il fatto che il cartone ci fa vedere le radici dell'Europa odierna? Come è noto, la tesi delle radici celtiche dell'Europa è stata sdoganata da noti 'intellettuali' della Lega ma non è poi così balzana come sembra!
Personalmente io rivendico le mie radici messapiche ma al momento non vi sono fonti autorevoli a sostenere la tesi per cui rimane poco più di una supposizione.

giovedì 22 ottobre 2009

Strani tempi

Succedono cose strane ultimamente. I gesuiti recuperano il pensiero di Marx, Tremonti si vota al posto fisso e sul mio blog scrive Cleo e per di più riceve un commento!
Non ho parole...sul terzo evento.
Mentre per i primi due ne avrei alcune, poche, per evitare di scrivere "complicatissimi testi che nessuno ha ancora decifrato". Ad ogni modo per facilitare la lettura ho provveduto a fornire lo strumento richiesto, :-).

E' condivisibile l'esortazione di Civiltà Cattolica: "non conviene, oggi come in passato, lasciare semplicemente alla sinistra la critica dell'economia politica di Marx." Benvenga il confronto tra i diversi punti di vista su Marx, come su ogni grande pensatore. Benvenga il riconoscimento che la flessibilità è un mostro culturale quando significa semplicemente trasferire il rischio imprenditoriale sui lavoratori. Benvenga tutto questo anche e soprattutto quando viene da parti inattese, ma mi aspetterei che su questi temi la sinistra dicesse qualcosa, dicesse che su Marx ci ha pensato a lungo, che ha letto le sue opere, che è da tanto tempo che ha imparato a distinguere il pensiero di Marx dall'abuso che ne è stato fatto, mi aspetterei che dicesse che il mondo del lavoro e tutte le storture del sistema produttivo capitalistico sono state da sempre l'assillo del pensiero di sinistra, mi aspetterei che la sinistra incalzasse il governo ogni giorno con proposte che mettano in pratica quanto Tremonti ha affermato con il suo slogan.
E invece, niente, a parte poche voci, come Vattimo e Gallino, la sinistra si ritrova attonita e muta di fronte a temi che sono costitutivi della sua storia ma che per decenni ha messo da parte, ha rimosso, ha trattato come tabù da non nominare, se non in ristretti circoli intellettuali, pur di farsi accettare nel 'mondo dei grandi'.
Altro che lasciare la critica del pensiero di Marx alla sinistra, da un po' di tempo a parlare di Marx e dei temi di sinistra sono rimasti Civiltà Cattolica e il Wall Street Journal!

Comunque sia, sulla profondità di pensiero dei gesuiti non c'è mai da dubitare. Come dice Vattimo, non è chiaro quale sia il loro disegno (altrimenti non sarebbero gesuiti!) ma sono sicuro che, dopo averci pensato a lungo (altrimenti non sarebbero gesuiti!) arriveranno a qualcosa di interessante (altrimenti non sarebbero gesuiti!). Magari copieranno un po' da Lukàks, un po' da Fromm, sicuramente anche dallo stesso Vattimo e chissà da quanti altri, senza dubbio e opportunamente ci metteranno qualcosa del Nuovo Testamento ma alla fine qualcosa di interessante ne verrà fuori. Quasi dimenticavo! Per l'esegesi di Marx i gesuiti non mancheranno di ispirarsi a Marx, non necessariamente quello di Treviri.
Se sulla riflessione dei gesuiti non ho dubbi, mi permetto di esprimere tutta la mia perplessità sul 'pensiero' di Tremonti. Ci mancava soltanto che Berlusconi si dicesse in sintonia con il suo Ministro dell'Economia perché fossero chiari due possibili scenari. Il primo scenario, Berlusconi è davvero finito, Tremonti (non Fini) gli sta preparando il de profundis e Berlusconi è subito corso ai ripari saltando in sella alla proposta di Tremonti. Il secondo scenario, l'operazione è soltanto il bieco tentativo di intercettare i voti di una sinistra orfana della propria storia e del proprio pensiero. In entrambi i casi il messaggio è uno solo, la sinistra non serve. Il silenzio della sinistra dà tremendamente ragione al messaggio.

martedì 20 ottobre 2009

Stravaganze

Finalmente è uscito ed ha lasciato il computer acceso! Non è la prima stranezza della giornata e prima di andare a letto ce ne saranno sicuramente altre. Approfitto di questa sua bizzarria per scrivere qualcosa di lui. E' un tipo tranquillo, per niente inquietante ma diverse cose di lui mi fanno preoccupare, cose davvero strane. La cosa più allarmante per me è vederlo camminare su due gambe per tutto il giorno, è incredibile come non abbia mal di schiena alla fine della giornata. Dovreste vederlo camminare, con quell’andatura stramba, prima su una gamba e poi su un’altra, continuo a temere che tra un passo e l’altro prima o poi caschi. Un’altra stranezza di cui non riesco a capacitarmi è come mai abbia bisogno di accendere la luce durante la notte per andare al bagno, anch’io di notte sento l’esigenza di svegliarmi ma non ho mica bisogno di così tanta luce, con quella che c’è ci vedo benissimo e non mi verrebbe mai in mente di accendere la luce, per non parlare poi di questa bizzarra abitudine di dormire per tutta la notte! Davvero singolare. L’ho visto saltare, è penoso, non riesce a sollevarsi da terra neanche per metà della sua altezza! Mi piange il cuore a vedere quelle gambe così poco efficienti per il salto e per la corsa. Quando la mattina si sveglia assume un comportamento davvero curioso, si toglie il pigiama per indossare altra roba, io di solito resto così come mi sveglio e francamente mi sembra che il mio sia un comportamento normale mentre il suo è a dir poco stravagante. Oddio, quando si infila quelle scarpe ai piedi mi viene l'orticaria, io non riuscirei a camminare con qualcosa del genere che avvolge i miei piedi. Non riesco ad immaginarmi mentre cammino con tutti quegli indumenti colorati addosso, i colori poi sono sempre diversi, a volte non si possono proprio vedere, meno male che non indossa calzini turchesi, a tutto c'è un limite! La sera quando torna a casa, non parliamone, si mette davanti a quella scatola luminosa e si lamenta dei tipi che lui considera strani, lui li chiama imbecilli. Da quello che dice pare che si tratti proprio di autentici cretini che per non farsi riconoscere si circondano di altri cretini così si convincono di essere normali e dicono degli altri che sono bizzarri. In giro si vedono tante stranezze, ma io sono una gattina di mondo, posso anche stupirmi ma più che altro le stravaganze altrui mi divertono, non sono come quelle comari provinciali che cianciano delle stranezze altrui perché sono cieche davanti allo specchio. Basta, non amo il pettegolezzo e poi potrebbe tornare, il tempo di caricare la mia foto e poi chiudo.


Non ho il tempo di cambiare le impostazioni del blog, quindi anche se c'è scritto che è pubblicato da Antonio non date retta, questo post è pubblicato da Cleo.

lunedì 19 ottobre 2009

Memoria e progetto

"Se noi non ricordassimo, il mondo sarebbe sottilissimo, una lastra priva di spessore, sulla quale fulmineamente stampato, un perpetuo presente attirerebbe su di sé i nostri sguardi stupiti e incantati.
Ma per fortuna noi ricordiamo, e dietro al mondo cosiddetto reale, dietro al mondo che si tocca, vede, sente, odora, il quale è veramente sottile come una lastra priva di spessore, mettiamo quello irreale, o almeno non più esistente, di uno, due, mille momenti prima, e assegniamo in tal modo un volume immaginario a qualcosa che in realtà non lo possiede." Vitaliano Brancati, (I piaceri della memoria. In: I piaceri, Bompiani, 1943).

"Mi pongo continuamente questa domanda: del passato berlusconiano cosa rimarra in piedi? La mia risposta è questa: il fatto che tutto è ridotto al presente, Uso certamente una parola inadeguata, «presentismo», cioè l'incapacità di spostare la propria percezione del tempo nel futuro, e anche nel passato, nei ricordi, fuori dall'immediatezza del presente. Tutto interessa in quanto è presente, di quello che ci sarà non ci poniamo il problema, quello che c'è stato si ricorda ma in modo semplificato e, secondo me, anche improprio o inadeguato. Ovviamente la percezione del tempo futuro presenta caratteristiche diverse dalla percezione del tempo passato, ma entrambe le percezioni sono accomunate da una semplificazione: un'immediatezza finalizzata esclusivamente al presente." Vittorio Foa (V. Foa, F. Montevecchi - Le parole della politica, Einaudi, 2008).

***

Memoria e progetto, un ponte costruito sul presente che lega il passato al futuro. L’arduo compito di sempre dell’umanità è stato quello di costruire questo ponte mentre ci cammina sopra, il compito del mio ‘tristissimo secolo’ sembra essere quello di distruggere questo ponte durante il percorso.
Forse ho preceduto o forse appartengo ad una generazione senza memoria e senza progetto che si muove con velocità vertiginosa nel piatto presente.
Memoria e progetto, l’una e l’altra necessitano di lentezza e serenità. I ricordi devono decantare, fissarsi e richiamarsi tra di loro, chiedono tempo perché diventino altro da ciò che è stato e si tramutino in esperienza. Il progetto è l’immagine speculare e disonesta dei ricordi, si proietta avanti barando sul passato e temendo sempre che la memoria scorga il necessario tradimento.

Cloude Monet, Il ponte giapponese, 1910.

Memoria e progetto sono operato della lentezza. Lo vediamo anche nel mondo naturale, sebbene questo non sia sufficiente a comprenderne completamente i connotati umani. Ogni specie vivente ha connotati suoi propri che, pur trovando origine nel passato evolutivo, assumono lineamenti distintivi di quella specie. Memoria e progetto, è evidente che hanno radici in altre specie ma è innegabile che nella specie umana abbiano assunto morfologia e dimensioni che non sono riscontrabili in altre specie. Si tratta di invenzioni recenti, hanno avuto bisogno di miliardi di anni e non potevano esserci prima, senza il sostrato che si è costituto in precedenza perché potessero affiorare. Questo non vuol dire che ci sia stata una direzione evolutiva verso la memoria e il progetto, non amo i determinismi in tutti i loro travestimenti pseudospirituali, dico solo che c’è voluto molto tempo perché memoria e progetto venissero fuori.

Memoria e progetto non amano la velocità, sono antitetici alla velocità che connota il mio tempo, hanno bisogno di tempo e noi ‘non abbiamo tempo’. La velocità non è un valore che appartiene alla memoria e al progetto. La velocità non è un valore. Per due motivi, uno di ordine morale l’atro di ordine fisico. La velocità presume, ha la presunzione, che non vengano commessi errori nel tragitto, e poi più elevata è la velocità minore è il tempo necessario per frenare. Ecco perché la velocità non è un valore.
Ma del resto perché dovremmo ancora ragionare di valori? Con tutto quello che abbiamo da fare non c’è tempo per pensare! Primum vivere, deinde morire!

***

Segnalo il sito della Banca della Memoria che raccoglie centinaia di testimonianze della memoria e ringrazio i miei amici, costruttori di ponti, per avermi segnalato questo sito e per avermi permesso di fare qualche passo sul loro prezioso ponte.

domenica 18 ottobre 2009

Un democratico in allarme


In occasione del centenario della nascita di Norberto Bobbio invito alla lettura di un paio di suoi articoli. Uno del 1958, l'altro molto breve del 2001, a pochi anni dalla sua morte. Nel secondo articolo il filosofo parla di un caso emblematico per cui diventa chiaro perché il primo articolo si concludeva con la celebre frase: "Noi siamo, dobbiamo essere, democratici sempre in allarme."

***
Sono tanti i libri di Bobbio che inviterei a leggere, da Il futuro della democrazia a L'età dei diritti, da Politica e cultura a De Senectude, ma uno che mi sta particolarmente a cuore è la raccolta di saggi Elogio della mitezza[1].
Nei saggi si ha il privilegio di leggere le lucide considerazioni del filosofo su diversi soggetti di carattere morale: il rapporto tra etica e politica, le ragioni (o la ragionevolezza) della tolleranza e, per converso, le cause dell’intolleranza e del razzismo.
Uno degli aspetti su cui Bobbio ripetutamente ci sollecita nelle nostre valutazioni dell’esperienza collettiva, in riferimento alle varie forme di discriminazione, è la differenza tra giudizi di fatto e giudizi di valore (p. 112). Fin da Hume la cosa è tanto nota in filosofia quanto ignorata nell’esperienza e va sotto il nome di fallacia naturalistica per la quale si confondono i fatti (l’essere) con la loro necessità metafisica (il dover essere). Che una persona abbia certe proprietà (che sia nero, omosessuale, donna, ebreo o altro) è un fatto ma questo non ha alcuna relazione con il giudizio di inferiorità né con la volontà di ridurre l’essere di un soggetto all’essere di un altro soggetto in quella che in definitiva non è che una assurda reductio ad unum che semplifica e mortifica la meravigliosa e difficile complessità dell’esistenza.
Il cardine intorno a cui ruota il pensiero del filosofo è il rapporto tra verità e tolleranza, l’una e l’altra possono coesistere in virtù della irriducibilità degli esseri (p. 150). La confusione a buon mercato tra relativismo e scetticismo, che oggi abita le stanche menti pseudoliberali e pontificali, cela dietro gli scricchiolanti edifici dell’argomentazione l’intrinseca necessità dello scetticismo per fondare l’autorità (p. 151).
Il continuo mettersi in discussione costa fatica ma “Può valere la pena di mettere a repentaglio la libertà, facendo beneficiare di essa anche il suo nemico, se l’unica possibile alternativa è di restringerla sino a rischiare di soffocarla o per lo meno di non permetterle di dare i suoi frutti. Meglio una libertà sempre in pericolo ma espansiva che una libertà protetta incapace di evolversi. Solo una libertà in pericolo è capace di rinnovarsi. Una libertà incapace di rinnovarsi si trasforma presto o tardi in una nuova schiavitù.” (p. 158)
Solo il costante rapporto con il dubbio da parte del filosofo (p. 146) consente all’uomo di ragione di riconoscere i limiti della ragione e scoprire gli orizzonti delle ragioni (p. 181) e di fronte ad ogni scelta ultima permette di ammettere che “come tutte le scelte ultime è tale da non essere sostenibile soltanto con argomenti razionali.” (p. 199)
In questo contesto la creazione di una vita morale sorge quale “unica antitesi del male” (p. 201), e a tal proposito torna alla mente la meravigliosa esortazione del Leopardi nel Dialogo di Plotino e di Porfirio, “Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci mano e soccorso scambievolmente; per compier nel miglior modo questa fatica della vita.”[2]Ricordando che il mite “è colui che lascia essere l’altro quello che è” (p. 40) auguro buona lettura a quanti vorranno leggere le opere di Bobbio ma il mio augurio è più utilmente indirizzato a quanti, pur richiamandosi alla mitezza, ne ignorano premesse e conseguenze.

[1] N. Bobbio, Elogio della mitezza e altri scritti morali. Net, Milano, 2006.
[2] G. Leopardi, Operette morali - Il Dialogo di Plotino e di Porfirio. Garzanti, Milano, 1984, p. 311.

venerdì 16 ottobre 2009

Letteratura alternativa

Ho scoperto (o è meglio dire ho capito!) che Letteratura 2.0 è disponibile anche senza registrarsi a facebook, vi invito a leggerlo perchè troverete delle cose davvero gustose.
Anch'io mi sono cimentato a trovare le 'vere fonti' di uno dei romanzi del celebre scrittore colombiano lasciandomi ispirare da Letteratura 2.0, senza però sperare di raggiungere il livello di quelle vere e proprie perle di umorismo (io sono troppo fazioso!).

[Gabriel García Márquez]
Il generale nel suo labirinto § Raccolta di memorie del generale Berlímar. Si narra degli amori e delle passioni politiche di un uomo che trascinò il proprio paese in un labirinto di tristezza. Il libro si sofferma sul singolare rapporto amore-odio che il generale aveva con il suo principale antagonista, il luogotenente Dalemìr. Il generale ricorda tutte le volte che il luogotenente lo aiutava ad uscire dal suo labirinto. I due moriranno in solitudine giocando a scacchi e cercando di chiudere la partita con uno stallo.

mercoledì 14 ottobre 2009

Attenuanti e aggravanti

Ieri è stato approvato dal governo il disegno di legge per inasprire le pene per maltrattamento degli animali, il disegno di legge passerà al vaglio delle camere. Pronto un emendamento dell’onorevole Binetti per chiedere un attenuante di pena per maltrattamenti alle bestiole che manifestino tendenze omosessuali. La maggioranza, esperta in tematiche costituzionali, assicura che l’emendamento proposto non è in contrasto con il dettato della Costituzione e promette il suo voto favorevole all’emendamento apportando solo una lieve modifica: un aggravante di pena per maltrattamenti ad animali particolarmente virili. Sconcerto nel PD!

martedì 13 ottobre 2009

Pensierino forte

Pensierino forte e monolitico per il nuovo millennio: l’Europa moderna non può essere concepita senza il Cristianesimo (leggere qui per 'credere' e qui per capire!).

Se, da dis-graziati lontani dalla luce della fede o della 'vera' ragione, non pensiamo allo spirito del Cristianesimo ma alla sua manifestazione storica restiamo enormemente sorpresi che ci vogliano due papi e torme di pensatori a perorare una causa che la storiografia ufficiale riconosce vera da quattrocento anni senza tema di smentita!
In effetti l’Europa moderna e laica non può proprio essere concepita senza considerarla una conseguenza delle guerre di religione che dilaniarono l'Europa per decenni e che videro opporsi cattolici e protestanti (se non vado errato erano tutti cristiani!). Senza quegli eventi l’etsi deus non daretur non avrebbe avuto alcun terreno culturale su cui essere formulato!

C’è solo un problema di natura logica quando si parla delle cosiddette radici cristiane dell'Europa moderna e dei diritti umani. Dire che una cosa consegue un'altra è cosa ben diversa dal dire che una cosa ne implica un'altra, di solito i filosofi conoscono bene questa distinzione!
Quando si dice che qualcosa sta a fondamento di una teoria, di una cultura, di una società o di qualsiasi altra cosa, solitamente ci troviamo nel secondo caso: una cosa ne implica un'altra. Allora non è opportuno che l'implicato dal fondamento sia l’espressione di una negazione del fondamento stesso. In tal caso il fondamento ha qualche problema.

Ma bando alle ciance, ultimamente le aporie non sono così decisive per gli esponenti del pensiero forte!

giovedì 8 ottobre 2009

Funeste previsioni

Una volta che avevamo il modo di riscrivere le regole della scienza ponendoci come paese all'avanguardia rispetto a tutto il pianeta ci siamo fatti sfuggire l'occasione. E' piuttosto antipatico dire "l'avevo detto" e so che è poco elegante autocitarsi, ma stavolta ci vuole proprio e poi non ho trovato nessun'altra fonte che avesse azzardato una lettura dei fatti così ardita che in altri paesi potrebbe sembrare persino strampalata! A febbraio scorso avevo individuato un nuovo paradigma epistemologico che purtroppo è andato bruciato, si trattava di un caso di effetto senza causa, che opportunamente sviluppato e studiato avrebbe aperto senza dubbio orizzonti non ancora esplorati. In verità prendevo spunto da un episodio estraneo alla scienza ufficiale, quella cosiddetta sperimentale, ma da qualche parte bisogna pur cominciare per costruire la novità! In quell'occasione temevo che una eventuale sentenza della Corte Costituzionale avrebbe potuto smontare il mio edificio teorico, tant'è stato!

***

Quesito! Se la Consulta e il Presidente della Repubblica hanno "sconfessato" se stessi, come ulula la maggioranza di governo dopo la sentenza di ieri, cosa si potrebbe dire di quel celebre giurista che preso da veemente foga peroratoria pronunciò parole che rimarranno scolpite nella storia del diritto: "la legge è uguale per tutti ma non la sua applicazione."?

Per quanto riguarda la cosiddetta sconfessione della Consulta è sufficiente quello che fa osservare Giuseppe D'Avanzo, nel 2004 alla Corte Costituzionale bastò la constatazione preliminare dei difetti di legittimità per annullare la precedente edizione del lodo Alfano, ovvero il lodo Schifani. In quella sentenza, in calce alla dichiarazione di illegittimità, si diceva "assorbito ogni altro profilo di illegittimità costituzionale". Se non l'hanno capito non è certo un problema della Consulta! In altre parole, il lodo Schifani era scritto con i piedi (anche se per farlo ci misero la testa!) e quindi fu bocciato appunto dopo constatazione preliminare dei suoi difetti di legittimità. Questi poveretti che hanno scritto il lodo Alfano (tranquillo Angelino, sappiamo che non sei stato tu!) volevano che la sentenza sul lodo Schifani dicesse che una legge che interviene sui diritti garantiti dalla Costituzione come minimo deve essere approvata secondo l'iter previsto dalla Costituzione stessa nell'art. 138 e che non è sufficiente una legge ordinaria. Mah! Appello per la Consulta, magari, se avanza tempo, la prossima volta fategli sapere che per essere avvocati è condizione necessaria essere laureati in giurisprudenza, sicuramente faticheranno a capire che non è condizione sufficiente ma almeno un 'aiutino' l'avranno avuto.

In merito alla "sconfessione" del Presidente della Repubblica che ha firmato il lodo Alfano invece preferisco pensare che, sebbene non firmarlo in prima istanza sarebbe stato un segnale apprezzabile ancorché pericoloso per il basso profilo statuale dell'attuale classe di governo, la Corte Costituzionale è l'organo inappellabile che vaglia la conformità delle leggi alla Costituzione. Il Presidente della Repubblica ha evitato un ulteriore scontro istituzionale che comunque si sarebbe concluso solo con la sentenza della Corte Costituzionale. Si può essere in disaccordo con questa linea, ed io lo sono, ma è di questo che stiamo parlando, di una linea che tenta di porre un argine alla deriva populista di un paese al seguito di arruffapopoli, dove i rapporti istituzionali sono fragilissimi ed il rischio di rottura dei delicati equilibri politici e sociali è molto alto. Chi ha responsabilità di governo di un paese (stavolta nel senso alto del termine, quindi l'esecutivo non c'entra niente, purtroppo!) non può non tenerne conto.

martedì 6 ottobre 2009

Complotti nelle fattorie

Da un po' di tempo in Italia va in scena una fiction, anzi un reality, ambientato in una fattoria abitata da animali di diverse specie. Gli animali, stanchi di essere sfruttati, hanno preso il potere ma in definitiva sono i maiali a gestire le sorti della fattoria. A capo dei maiali c'è un tipo che si fa chiamare Napoleone. Per evitargli la nomination di tanto in tanto spunta una targa all'entrata della stalla: «Tutti gli animali sono uguali, ma il primus super pares è più uguale degli altri», la massima è stata pensata da Clarinetto ma per metterla in versi sono servite le doti poetiche di Minimus e la benedizione di Mosè. Nottetempo dei 'complottatori' tolgono la targa e la sostituiscono con un foglietto dove c'è scritto: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Come al solito viene incolpato di tutto Palla di Neve, ma sono ormai in molti ad assicurare che sia morto da tempo.


Al momento all'entrata della stalla è affisso il primo cartello, si spera che in serata o nei prossimi giorni qualcuno riesca a toglierlo per metterci di nuovo il secondo.
Attualmente il reality ha uno strepitoso successo all'estero, in Italia l'audience si mantiene bassa.

sabato 3 ottobre 2009

Consigli di lettura

Nelle mie peregrinazioni internautiche serali ho trovato questo blog (bioetiche.blogspot.com) molto interessante e scritto bene che ho messo nell'elenco dei miei siti preferiti. Il soggetto è esplicito, tratta di temi bioetica, si trovano notizie e commenti su questi delicatissimi temi che spesso sono ritenuti, a torto, il terreno per disquisizioni sterili che ognuno può affrontare perché basta avere un'opinione! Per certi versi è vero, ma un po' di cognizione di causa non guasta.

Ho letto diversi post di questo blog e devo dire che trovo un'assonanza con quanto penso che non mi dispiace affatto. Non mancano ovviamente le differenze, guai a non averne, il dialogo con gli altri sarebbe un monologo senza possibilità di confronto, un vicolo angusto e cieco dove a molta gente piace sostare come se fosse in un campo aperto.

Segnalo un post dedicato ad un articolo di Roberta De Monticelli in risposta ad un articolo di Vito Mancuso. Nel suo articolo il teologo affermava la necessità di un fondamento trascendente per l'etica. Apprezzo molto il pensiero di De Monticelli ed anche quello di Mancuso (con una gigantesca epoché quando il teologo si occupa di evoluzionismo!). Non fu solo la De Monticelli ad essere sorpresa dalla posizione di Mancuso, anche Paolo Flores d'Arcais scrisse un articolo in cui rilevava i punti deboli del supposto nesso tra umanesimo ateo e nichilismo.

Devo ammettere che anch'io, nel mio piccolo, rimasi abbastanza stupito dopo aver letto l'articolo di Mancuso. Da teologo Mancuso vede nella dimensione spirituale divina lo sfondo omnipervasivo delle cose umane, ed è in questo sfondo che si confrontano le diverse visioni etiche degli uomini, di quelli atei come dei credenti. Mancuso andava oltre, affermava che un'etica laica (o atea) "non è conforme con la negazione di un fondamento ontologico" e che la presenza di comportamenti etici senza riconoscere il fondamento spirituale è frutto di un inganno logico. Nonostante l'affermazione apodittica, a Mancuso va riconosciuto il merito di non mettere in discussione la libertà dell'assenso al 'dono' della fede. In sostanza, per Mancuso esiste una verità ontologica (Dio) che gli uomini sono liberi di abbracciare oppure no.
De Monticelli però vede qualcosa di molto pericoloso nelle parole di Mancuso, la filosofa giustamente avverte il teologo: "Vito, non puoi esigere che chiamiamo Dio la dimensione 'spirituale' della vita, l'amore o la relazione ordinata da cui veniamo" esortandolo a non confondere "l'ethos - che è lo stile di vita e la scala di valori, la vocazione e la fede, l'identità personale o morale di ciascuno - con l'etica, che è il dovuto da ciascuno a tutti".

Per quanto riguarda la relazione tra umanesimo laico e nichilismo morale, individuato da Mancuso, De Monticelli scorge nell'Eutifrone di Platone l'argomento che ne dissolve il nesso, precisamente nella domanda che Socrate pone ad Eutifrone: "il bene è caro agli dei perché è bene, o è bene perché è caro agli dei?". Nel primo caso non è consentito affermare che "se Dio non esiste, tutto è permesso", con buona pace di Dostoevskij e di Ivan Karamazov. "L'etica viene prima", dice De Monticelli, perché è la "condizione della libertà di fronte alle cose ultime". In sostanza De Monticelli porta alle inevitabili conseguenze il discorso della libertà che è caro anche al teologo ma che, nell'articolo in questione, non sembra accorgersi della 'non conformità' di quanto afferma con la libertà.

Questo discorso della libertà in effetti è abbastanza insidioso, perché può avere conseguenze ancora più estreme di quelle che il fondativismo ontologico di De Monticelli consente. L'etica viene prima e il bene è il suo sfondo, sono d’accordo, ma è possibile trovare un fondamento nel bene più di quanto non sia possibile trovarlo in Dio? Io sono convinto che, nelle due possibili risposte alla domanda di Socrate, il problema resti inscritto nella verità, nel "fondamento ontologico" appunto, che per Mancuso è Dio e per De Monticelli è il bene. Non dico che il bene non sia qualcosa su cui fondare la nostra etica ovviamente, dico soltanto che il bene è qualcosa da costruire e che rappresenta un punto di partenza (non un fondamento ontologico) del discorso sull'etica che tuttavia può presentare molteplici facce in relazione alla provenienza storica e culturale dei soggetti. Se c’è qualcosa di dato per sempre, qualunque cosa sia e qualunque nome gli si voglia dare, non è più concepibile alcuna apertura della storia né alcuna libertà. Al massimo è possibile concepire un progressivo approssimarsi ad un nocciolo ontologico che ci attende speranzoso di essere raggiunto o in indifferente attesa di essere raggiunto. Questa concezione della storia mi sembra troppo “razionale” e “progressista”. Non che io preferisca l’irrazionalità, tutt’altro! però sono abbastanza scettico quando la razionalità di hegeliana memoria mi sembra piuttosto il bisogno di porre un rassicurante ordine nella contingenza dell’esistenza e in quanto alla razionalità di ciò che accade io ho una visione più modesta e mi accontento della ragionevolezza, in alcuni casi.

De Monticelli, nell’articolo citato, liquida troppo frettolosamente il pensiero di un "influente filosofo postmoderno". In Addio alla verità (Meltemi ed., 2009) Vattimo scrive che "sia Adorno che Sartre riconoscono, ma solo implicitamente, che l'ideale della verità-totalità comprende in sé uno sfondo di violenza" (p.10) e su questo punto De Monticelli non può dissentire, neanche e soprattutto facendo ricorso a Platone che, stando a Popper e a Russell, non può certo essere considerato un campione di democrazia! Che il fondamento della verità si chiami Dio o bene non è indifferente per un discorso di etica laica - ed è importantissimo che bene non sia scritto con la maiuscola - ma il problema centrale resta. Ci sarà sempre qualcuno che brandirà questo fondamento, comunque lo si chiami, e si presenterà al resto dell'umanità come depositario e custode della verità. Vattimo chiarisce questo punto in maniera cristallina quando afferma "se con l'assunzione del destino nichilistico della nostra epoca prendiamo atto di non poter disporre di alcun fondamento ultimo, è tolta ogni possibile legittimazione alla prevaricazione violenta sull'altro." (p.104)

Il nichilismo non può essere ridotto esclusivamente alla dissoluzione di tutti i principi e i valori. Il tanto vituperato Nietzsche, oltre alla caduta dei vecchi valori che reggevano il mondo (scopo, unità, verità) ha parlato anche della loro trasvalutazione, del loro riposizionamento, ha parlato di un “nichilismo attivo”, ovvero della “possibilità di iniziare una storia diversa”, come dice Vattimo. Nietzsche dice che non si possono dare più valori indefinitamente veri, non che non ci siano più valori. Questa è una lettura buona per un’omelia, non per discutere dell’abisso che ci ha indicato Nietzsche quando ci ha mostrato “il più inquietante fra tutti gli ospiti”. Heidegger diceva che “non serve a niente metterlo alla porta, perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che occorre è accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia”. Vattimo sostiene che “Se si vuol cor-rispondere davvero alla dissoluzione dei principi, non pare esservi altra via che quella di un’etica esplicitamente costruita intorno alla finitezza. […] Nell’etica della finitezza il rispetto dell’altro non è neanche remotamente fondato sul presupposto che egli sia portatore della ragione umana uguale in tutti […] Rispetto dell’altro è soprattutto il riconoscimento della finitezza che ci caratterizza entrambi, e che esclude ogni superamento definitivo dell’opacità che ognuno porta con sé” (pp.100-103). Se accettiamo questa visione, non resta che la continua “costruzione di un consenso e di una amicizia civile che renderanno possibile anche la verità nel senso descrittivo del termine” (p.27) e la realizzazione di “un’etica ‘responsabile’ rispetto alla propria epoca” che cerchi di corrispondere ad “un’eredità culturale essa stessa molteplice e rappresentabile solo con un atto responsabile di interpretazione, che non dà luogo ad imperativi univoci” (p.96).

Il nichilismo è il tavolo intorno al quale siamo seduti a discutere, nel tentativo che l’abisso al centro di quel tavolo non ci trascini via. I nostri racconti, tutti i nostri discorsi tessono la trama che ci tiene saldi e lontani dall’abisso. Discorsi che ci tengono in perenne vorticoso movimento. Quando un discorso raggiunge un punto fermo cade tutto, come una bicicletta quando si smette di pedalare. Il nichilismo è il riconoscimento che la bicicletta non può fermarsi, l’etica della finitezza che nasce dopo aver guardato bene in faccia l’ospite inquietante è il riconoscimento che la bicicletta non deve fermarsi.

***

Il “fondamento delle cose” esercita da sempre un indiscutibile fascino, la sua ricerca ha impegnato fior di pensatori. Tutte le volte che ne sento parlare, o che lo vedo implicato in qualche ragionamento, non posso fare a meno di ricordare il bellissimo racconto “Micromegas” di Voltaire, in cui un gigantesco abitante di Sirio visita la terra insieme ad un altro gigante di Saturno, quest’ultimo molto più piccolo del primo. I due giganti hanno nozioni filosofiche e scientifiche inimmaginabili per noi umani, ed il primo più del secondo. Nell’incontro con gli uomini della terra, dopo notevoli peripezie dei due giganti prima che si accorgessero di quelle minuscole creature, intavolano una serie di argomentazioni filosofiche. Al termine della discussione decidono di scrivere per gli uomini un libro dove avrebbero fornito spiegazioni del “fondo delle cose”. I giganti sono ormai partiti e l’apertura del libro davanti ad una commissione di dotti rivela pagine bianche.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...