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martedì 4 agosto 2009

...e cammina cammina

La rete è straordinaria, in questa gigantesca biblioteca ho trovato una vecchia canzone che ascoltavo quando avevo 7 anni e che non ascoltavo più da tanto tempo, era la sigla di Mazzabubù, un programma di varietà molto divertente che guardavo la sera prima di andare a letto. Allora le trasmissioni cominciavano presto, condizione perché le potessero vedere i bambini di allora, e non erano interrotte dalla pubblicità, condizione perché i bambini non diventassero imbecilli. Non era come adesso che le trasmissioni cominciano tardi, la maggior parte è meglio non vederle e poi interrompono continuamente la pubblicità!

Fin da quando ero bambino Gabriella Ferri mi ha sempre attratto, c’era in lei uno straziante miscuglio di tristezza e allegria che allora non sapevo capire, eppure mi affascinava. C'era qualcosa di familiare nel suo sguardo. Forse quel fascino è cominciato quando mia madre salutò una sua amica dicendole che si sarebbero viste presto e lei le rispose con gli occhi che non sarebbe accaduto. Non si sarebbero mai più riviste. Quel giorno aveva fatto visita a mia madre per dirle con uno sguardo che non si sarebbero più riviste.
La ricordo appena la signora S., aveva lo stesso sguardo di Gabriella Ferri, gli stessi occhi che parlavano e non c'erano orecchie che potessero ascoltare quelle parole.
Era il tempo delle scuole materne. Lei non era la mia maestra, stava in un'altra classe ma le classi non erano molte, forse solo due o tre, e ad ora di pranzo le maestre ci portavano tutti quanti in una stanza più grande a mangiare. Ricordo che di tanto in tanto c'era una minestra che proprio non mi piaceva per via delle bucce di pomodoro, quelle cose rosse che galleggiavano nella minestra mi facevano impressione. Lei, la signora S. mi esortava a finire la minestra sorridendo. Sono passati tanti anni da allora, adesso non ho più problemi con le bucce di pomodoro nella minestra.
La ricordo appena la signora S.


Ogni suicidio, per quanto lontano nel tempo, nello spazio, è un macigno per chi resta, è quella lacerazione di cui parlavo nel precedente post tra il tempo dentro di noi e quello fuori di noi. Forse è la lacerazione più acuta che possa capitare di vivere a chi resta, una lacerazione che si cronicizza e ci lascia attoniti a fissare per anni quelle lancette ferme che non possono muoversi più.

"Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto - se il mondo abbia tre dimensioni o se lo spirito abbia nove o dodici categorie - viene dopo. Questi sono giuochi: prima bisogna rispondere.", così comincia Il mito di Sisifo di Albert Camus.

Quel libro 'assurdo' e straordinario finisce con "Lascio Sisifo ai piedi della Montagna! Si ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i macigni. Anch'egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice."

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