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giovedì 12 marzo 2009

Diritto di voto

Nel racconto “Diritto di voto” di Isaac Asimov, Norman Muller è l’unico cittadino della prima e più grande Democrazia Elettronica ad essere selezionato dal computer Multivac per votare in nome di duecento milioni di abitanti. Il suo voto, acquisito con le più diverse domande tra cui "Cosa ne pensa del prezzo delle uova?", sarà elaborato dal potente supercomputer ed esprimerà il voto della collettività.
Se ci sono buone ragioni per essere scettici sulla possibilità di una democrazia informatica, ce ne sono altrettante per non scommettere sulla nostra storia futura (l'ossimoro è d'obbligo). Probabilmente per diverso tempo i progressi nel campo dell’informatica non porteranno ad una Democrazia Elettronica, ma ciò può essere dovuto all’impegno che si sta dedicando al materiale umano, rendendolo accontentabile con una bottiglia di Coca-Cola ed indifferente ad una buona politica.
I computer vengono dopo, giustamente!

Ad ogni modo per i deliri del pres(id)ente potrebbe essere utile cercare le fonti nel passato, se non altro rimane la buona letteratura.

Cercando il link alla notizia mi accorgo che già ieri Carlo Clericetti aveva accostato al racconto di Asimov l'idea del voto ai soli capocondomini della casa libera. Prova che la "fonte" potrebbe non essere del tutto peregrina.

Per quanto riguarda gli affittuari della casa libera che erano lì ad ascoltare il loro padrone di casa, mi torna in mente un episodio che si attribuisce a Ettore Petrolini. Uno spettatore dal loggione lo disturbava insistentemente durante lo spettacolo, l'attore si fermò e urlò in direzione del loggione: "Io non ce l'ho con te, ma con quello che ti sta accanto che ancora non ti butta di sotto".
Signori affittuari se ancora vi è rimasto uno straccio di decoro, per lo meno nell'esercizio delle vostre funzioni istituzionali, vi siete persi un momento prezioso per tirarlo fuori.


Diritto di voto, (1955). In: Isaac Asimov, Tutti i racconti. Volume primo. Mondadori, 1991.

Linda - età anni dieci - era l'unica, in tutta la famiglia, che sembrava contenta di essersi svegliata. Norman Muller la poteva sentire, attraverso il suo coma malsano, impostogli dai sonniferi. (Era riuscito ad addormentarsi, finalmente, un'ora prima: ma si era trattato più di stanchezza che di sonno vero e proprio.)
- Papà, papà, svegliati. Svegliati!
Lui represse un gemito.
- Va bene, Linda.
- Ma, papà, questa volta ci sono intorno più poliziotti del solito. Ci sono macchine della polizia e tutto il resto.
Norman Muller si rassegnò e si sollevò, fiaccamente, sui gomiti. Il giorno stava cominciando. Fuori cominciava a spuntare l'alba: un germe di un grigio miserevole che somigliava molto al grigio che lui si sentiva dentro. Udì Sarah, sua moglie, che si dava da fare in cucina per preparare la colazione. Suo suocero, Matthew, si stava raschiando rumorosamente la gola nel bagno. Senza dubbio l'agente Handley era già pronto e lo stava aspettando. Era il grande giorno. Il Giorno delle Elezioni. Quell'anno era cominciato come tutti gli anni. Forse un po' peggio, perché era l'anno delle elezioni; ma non era poi tanto peggio di tutti gli altri anni delle elezioni.
I politicanti parlavano del grande corpo elettorale e dell'immensa intelligenza elettronica al suo servizio. La stampa analizzava la situazione per mezzo dei calcolatori industriali - il New York Times e il St. Louis Post Dispatch avevano i loro calcolatori - ed erano pieni di piccole allusioni a quello che stava per accadere. I commentatori televisivi e i giornalisti segnalavano gli Stati e le Contee che si trovavano in felice contraddizione con qualche altro.
La prima sensazione che quell'anno non sarebbe stato simile agli altri si ebbe quando Sarah Muller disse al marito, la sera del 4 ottobre (le elezioni si sarebbero tenute esattamente un mese dopo):
- Cantwell Johnson dice che quest'anno lo Stato sarà l'Indiana. È il quarto. Pensa, questa volta sarà il nostro Stato.
Matthew Hortenweiler levò la faccia carnosa dal giornale, fissò severamente la figlia e grugnì:
- Quegli individui sono pagati per dir bugie. Non ascoltarli.
- L'hanno già detto in quattro - disse Sarah, in tono blando. - Dicono che sarà l'Indiana.
- L'Indiana è uno Stato chiave, Matthew - disse Norman, in tono altrettanto blando. - Sai, è per via dell'Atto Hawkins-Smith e di quella faccenda di Indianapolis. E...
Matthew torse il viso in un'espressione allarmata.
- Nessuno parla di Bloomington o della Contea di Monroe, vero?
- Be'... - disse Norman.
Linda, che seguiva la conversazione levando la faccina appuntita da uno all'altro degli interlocutori, intervenne, pigolando:
- Tu voti, quest'anno, papà?
Norman le sorrise con dolcezza.
- Non credo, cara.
Ma si era nel periodo della crescente eccitazione elettorale, e Sarah aveva vissuto una vita tranquilla, facendo grandi sogni per i suoi parenti. Così disse, in tono carico di desiderio:
- Ma non sarebbe meraviglioso?
- Se io votassi? - Norman Muller aveva i baffetti biondi che gli avevano dato un aspetto attraente agli occhi di Sarah, un tempo, ma che adesso erano troppo ingrigiti per conferirgli un'aria distinta. La sua fronte era segnata da rughe di incertezza sempre più profonde, e, in generale, non si era mai lusingato di essere nato per essere un grand'uomo, o per diventarlo in particolari circostanze. Aveva una moglie, una figlia e un lavoro e, salvo qualche rara crisi di depressione, tendeva a credere di avere ottenuto già abbastanza dalla vita.
Così si sentì un po' imbarazzato e discretamente a disagio, notando la direzione assunta dai pensieri di sua moglie.
- In fin dei conti, mia cara, vi sono duecento milioni di persone in questo Paese, e, con simili probabilità, non credo che dovremmo sprecare il nostro tempo a pensarci sopra.
- Ma, Norman - obiettò Sarah - non si tratta proprio di duecento milioni, e lo sai bene. In primo luogo, sono eleggibili soltanto le persone tra i vent'anni e i sessanta; e sono sempre uomini, così questo riduce gli eleggibili a cinquanta milioni. Poi, se si tratta davvero dell'Indiana...
-...ci sono sempre un milione e duecentocinquanta probabilità contro una. Non vorrai che scommetta su una corsa di cavalli con queste probabilità, vero? Su, mangiamo, adesso.
- Sono tutte sciocchezze - brontolò Matthew, dietro il giornale.
- Tu voti, quest'anno, papà? - chiese ancora Linda.
Norman scosse il capo. E si avviarono, tutti insieme, verso la sala da pranzo. A partire dal 20 ottobre, l'agitazione di Sarah crebbe rapidamente. Al caffè annunciò che la signora Schultz, la quale aveva una cugina che era segretaria di un delegato dell'Assemblea, diceva che tutti i furbi avevano scommesso l'Indiana.
- E dice che il Presidente Villers viene perfino a fare un discorso a Indianapolis.
Norman Muller, che aveva avuto una giornata molto faticosa in negozio, accolse la notizia alzando appena le sopracciglia e non ci pensò più.
Matthew Hortenweiler, che era sempre cronicamente insoddisfatto dell'operato di Washington, dichiarò:
- Se Villers fa un discorso nell'Indiana, questo significa che è convinto che Multivac sceglierà Arizona. Non avrebbe mai il coraggio di avvicinarsi di più, quella testa buca.
Sarah, che ignorava suo padre tutte le volte che poteva, continuò:
- Non so proprio perché non annunciano lo Stato appena sono in grado di farlo; poi dovrebbero annunciare la Contea e così via. Così la gente eliminata potrebbe distendersi i nervi.
- Se agissero in questo modo - osservò Norman - i politicanti seguirebbero gli annunci come tanti avvoltoi. E quando la cerchia si fosse ristretta a una città, ci troveremmo un deputato ad ogni angolo della strada. E magari anche due.
Matthew strinse gli occhi e si passò la mano sui radi capelli grigi.
- Sono avvoltoi, in ogni caso. Senti...
- Su, papà... - mormorò Sarah.
Ma la voce di Matthew si levò alta sulla sua protesta.
- Senti, mi ricordo bene quando hanno piazzato Multivac. Sarebbe stata la fine delle politiche di parte, dicevano. Basta con lo spreco del denaro pubblico nelle campagne elettorali. Basta con le nullità montate dalle campagne pubblicitarie e portate al Congresso e alla Casa Bianca. E adesso guardate quello che succede. La campagna elettorale è più vasta di prima, soltanto che adesso la fanno alla cieca. Manderanno individui nell'Indiana per via dell'Atto Hawkins-Smith e altri individui in California nel caso che la posizione di Joe Hammer accenni a diventare determinante. Secondo me dovrebbero finirla con queste pazzie. Bisogna tornare ai buoni vecchi meto...
- Non vuoi che papà voti quest'anno, nonno? - chiese improvvisamente Linda.
Matthew la guardò
- Non badarci, tu. - E tornò a rivolgersi a Norman e a Sarah. - C'è stato un tempo in cui ho votato. Sono andato diritto verso la cabina, ho stretto i pugni sulle leve e ho votato. Ho detto: "Questo individuo mi piace e io voto per lui". Ecco come dovrebbero andare le cose.
- Tu hai votato, nonno? - chiese eccitatissima Linda. - Hai proprio votato? Sarah si affrettò a intervenire per fermare ciò che minacciava di trasformarsi in una storia incredibile, se fosse diventata di dominio pubblico fra i vicini.
- Oh, non è niente, Linda. Il nonno non voleva dire di aver votato davvero.Tutti votavano in quel modo, e anche il nonno. Ma non era proprio votare, capisci?
Matthew ruggì.
- Non ero un ragazzino, allora. Avevo ventidue anni, ho votato per Langley ed è stato un voto vero e proprio. Forse il mio voto non ha contato molto, ma valeva quanto quello di chiunque altro. Di chiunque altro. E non c'era nessun Multivac che...
- È ora di andare a dormire, Linda - intervenne Norman. - E smettila con queste domande sul voto. Quando sarai grande capirai tutto da sola. Le diede un bacio e la bambina si allontanò, dopo una nuova esortazione materna e dopo aver ottenuto il permesso di guardare la televisione della sua camera fino alle nove e un quarto, se si sbrigava a fare il bagno.
- Nonno - disse Linda. Restò ritta, con la testa china e le mani dietro la schiena fino a che il giornale si abbassò, scoprendo le sopracciglia cespugliose e gli occhi affondati in un nido di rughe. Era venerdì 31 ottobre.
- Sì? - fece il nonno.
Linda si avvicinò, appoggiò gli avambracci sulle ginocchia del vecchio che fu costretto a riporre il giornale.
- Nonno, hai votato davvero, quella volta?
- Hai sentito che l'ho detto, no? - ribatté lui. - Credi forse che racconti frottole?
- N-no. Ma la mamma dice che allora votavano tutti.
- Sicuro che votavano tutti.
- Ma come era possibile? Come potevano votare tutti?
Matthew la guardò con aria solenne, poi la sollevò e se la mise sulle ginocchia. Riuscì perfino ad addolcire il volume della voce.
- Vedi, Linda, circa quarant'anni fa, tutti votavano. Per esempio, volevano stabilire chi doveva essere il nuovo Presidente degli Stati Uniti. I democratici e i repubblicani indicavano i loro candidati, e ogni cittadino poteva dire chi preferiva. Quando era passato il giorno delle elezioni, contavano quante persone volevano il democratico e quante volevano il repubblicano. E chi aveva più voti era eletto. Capisci?
Linda annuì.
- Ma come faceva la gente a sapere per chi doveva votare? Glielo diceva Multivac?
Le sopracciglia di Matthew si abbassarono, dando al suo viso un'espressione severa.
- Votavano secondo il proprio giudizio, bambina mia.
Lei si scostò un poco, e il vecchio abbassò ancora la voce.
- Non sono arrabbiato con te, Linda. Ma, vedi, qualche volta occorreva tutta la notte per contare i voti e la gente diventava impaziente; così inventarono macchine speciali che potevano studiare i primi voti e confrontarli con i voti ottenuti negli stessi posti gli anni precedenti. In questo modo la macchina poteva calcolare com'era il voto di tutta la popolazione e chi era stato eletto. Capisci?
Lei annuì.
- Come Multivac.
- I primi calcolatori erano molto più piccoli di Multivac. Ma poi le macchine diventarono più grandi; potevano dire come erano andate le elezioni basandosi su un numero di voti sempre più piccolo. Poi, alla fine, costruirono Multivac, che può giudicare sulla base di un solo voto.
Linda sorrise: ormai era giunta alla parte della storia che le era già familiare.
- È molto simpatico - disse.
- No, non è simpatico - disse Matthew, accigliandosi. - Non voglio che una macchina mi dica come avrei votato io soltanto perché un buffone di Milwaukee dice di essere contrario all'aumento delle tasse. Forse voglio votare in modo strambo solo per il piacere di farlo. Forse voglio addirittura non votare. Forse...
Ma Linda gli era scivolata dalle ginocchia e stava già battendo in ritirata. Proprio sulla porta incontrò sua madre. Indossava ancora il soprabito e non aveva avuto tempo di togliersi il cappello; disse, senza fiato:
- Sono stata da Agatha.
Matthew la guardò con aria critica, degnò la notizia di un grugnito che fu l'unico commento, poi riprese il giornale.
- E indovina cosa ha detto - cominciò Sarah, slacciandosi il soprabito.
Matthew lisciò le pagine del giornale, deciso a riprendere la lettura.
- Non me ne importa niente - disse.
- Ma, papà... - disse Sarah. Non aveva il tempo di arrabbiarsi. Doveva raccontare le notizie e suo padre era l'unico ascoltatore disponibile, quindi continuò:
- Il marito di Agatha è poliziotto, lo sai, e dice che una quantità di agenti del servizio segreto sono arrivati questa notte a Bloomington.
- Non sono venuti per me.
- Ma non capisci? Agenti del servizio segreto, e siamo in tempo di elezioni. E sono venuti a Bloomington!
- Forse stanno cercando il rapinatore d'una banca.
- Sono anni che non hanno rapinato una banca, in città... Sei proprio incorreggibile.
E se ne andò.
Neanche Norman Muller accolse la notizia con maggiore interesse.
- Ma, Sarah, come fa Joe a sapere che sono agenti del servizio segreto? - chiese con calma.
- Non andranno certo in giro con la tessera incollata sulla fronte!
Ma la sera dopo... era il primo novembre... Sarah poté annunciare, trionfalmente:
- Tutti, qui a Bloomington, prevedono che sarà uno di qui, l'elettore. Lo dice anche il News e lo dice anche la televisione.
Norman si agitò, a disagio. Non poteva negarlo, ormai; si sentiva stringere il cuore. Se Bloomington stava per essere davvero colpita dalla folgore di Multivac, questo avrebbe significato giornalisti, spettacoli televisivi, turisti, seccature e novità a non finire. A Norman piaceva l'andamento tranquillo della sua esistenza, e la politica, fino ad allora tanto lontana, si stava facendo sempre più vicina, purtroppo...
- Tutte chiacchiere - disse. - Nient'altro che chiacchiere.
- Aspetta e vedrai, allora. Aspetta e vedrai.
Non vi fu molto da aspettare, comunque, perché il campanello squillò con insistenza, e quando Norman andò ad aprire, un uomo alto dalla faccia molto seria gli chiese:
- È lei Norman Muller?
- Sì - disse Norman, con una strana voce morente. Non era difficile capire, dal portamento dello sconosciuto, che si trattava di un tipo abituato a esercitare una notevole autorità, e la ragione della sua apparizione divenne inevitabilmente ovvia almeno quanto era apparsa assolutamente impossibile fino a un attimo prima. L'uomo presentò le sue credenziali, entra in casa, si chiuse la porta alle spalle e pronunciò la formula di rito.
- Signor Muller, debbo informarla, da parte del Presidente degli Stati Uniti, che lei è stato scelto per rappresentare l'elettorato americano, giovedì 4 novembre 2008.
Norman Muller riuscì, con qualche difficoltà, ad arrivare fino alla poltrona senza l'aiuto di nessuno. Sedette, pallido e quasi insensibile, mentre Sarah portava un po' d'acqua e gli mormorava fra i denti:
- Non star male, Norman. Non star male. O sceglieranno qualcun altro, al tuo posto.
- Mi scusi - disse Norman all'agente, appena fu di nuovo in grado di parlare.
L'agente del servizio segreto si era tolto il cappotto, si era sbottonato la giacca e si era seduto comodamente sul divano.
- Tutto bene - disse. L'espressione ufficiale sembrava essere sparita dal suo volto dopo l'annuncio di rito; adesso aveva l'aria di un grosso uomo cordiale.
- È la sesta volta che porto questo annuncio e ho assistito a reazioni di ogni tipo. E nessuna che assomigliasse a quelle che si vedono sul video. Capisce quello che intendo? Quell'atteggiamento devoto e consacrato, il personaggio che dice: "Sarà un grande privilegio servire il mio Paese". Roba del genere, insomma. - E l'agente rise, perfettamente a suo agio. La risata di Sarah, che gli fece eco, aveva una nota acuta da isterica.
- Ora dovrò rimanere con lei per qualche tempo - continuò l'agente. – Mi chiamo Phil Handley, e sarò lieto se mi chiamerà Phil. Il signor Muller non potrà più lasciare la casa fino al giorno delle elezioni. Signora Muller, lei dovrà informare il magazzino che suo marito è ammalato. Lei potrà uscire ancora per qualche giorno, ma deve promettere di non lasciarsi sfuggire neanche una parola. D'accordo, signora Muller?
Sarah annuì con forza:
- D'accordo. Non una parola.
- Benissimo. Ma, signora Muller - Handley assunse un'aria grave - badi che non stiamo scherzando. Esca soltanto se è necessario; e in ogni caso lei sarà pedinata. Mi dispiace, ma dobbiamo agire in questo modo.
- Pedinata?
- Nessuno se ne accorgerà. Non si preoccupi. E poi mancano solo due giorni all'annuncio ufficiale alla nazione. Sua figlia...
- È a letto, adesso - fece Sarah, in fretta.
- Bene. Dovremmo dirle che io sono un parente o un amico che è venuto a stare qui per qualche giorno. Se dovesse scoprire la verità, dovrà rimanere in casa a sua volta. In quanto a suo padre, farà bene a rimanere in casa comunque.
- Questo non gli andrà a genio - disse Sarah.
- Non possiamo farci niente. Ora, dal momento che nessun altro vive con voi...
- Mi pare che lei sappia proprio tutto, sul nostro conto - mormorò Norman.
- Abbastanza - ammise Handley. - Ad ogni modo, queste sono le mie istruzioni, per il momento. Cercherò di fare del mio meglio per ridurre al minimo il disturbo. Il governo rimborserà le spese per il mio mantenimento. Ogni notte verrò sostituito da qualcuno che rimarrà a sedere in questa stanza, così non ci sarà il problema di sistemarmi da qualche parte a dormire. Ora signor Muller...
- Sì, signore?
- Mi chiami pure Phil - disse di nuovo l'agente. - Lo scopo di questi due giorni preliminari è di abituarla alla sua condizione. Preferiamo che lei si presenti davanti a Multivac in condizioni di spirito il più possibile normali. Si rilassi e cerchi di sentirsi come in un giorno qualsiasi. D'accordo?
- D'accordo - fece Norman; ma poi scosse il capo, violentemente. - Ma non voglio una simile responsabilità. Perché proprio io.
- E va bene - disse Handley. - Cercherò di spiegarle. Multivac soppesa miliardi e miliardi di fattori conosciuti. Ma c'è un fattore incognito, e che rimarrà incognito ancora per molto tempo: la reazione della mente umana. Tutti gli americani sono modellati, in un certo senso, dall'influenza di quello che fanno e dicono gli altri americani. Si può portare qualsiasi americano davanti a Multivac, perché Multivac osservi le sue inclinazioni, le sue tendenze. E da questa osservazione si può dedurre quali sono le inclinazioni e le tendenze di tutti gli altri cittadini. Qualche americano è più adatto degli altri a questo scopo, in certi periodi determinati, a seconda degli avvenimenti dell'annata. Multivac ha scelto lei, quest'anno, come il più rappresentativo. Non il più intelligente o il più forte o il più fortunato: ma il più rappresentativo. Non vorrà mettere in dubbio la competenza di Multivac, per caso?
- Ma non potrebbe sbagliare? - chiese Norman.
- Non lo ascolti, signore! - interruppe Sarah, che aveva ascoltato con impazienza. - È innervosito, capisce? Ma in realtà è molto bene informato, e si tiene sempre al corrente della politica.
- È Multivac che ha deciso, signora Muller - disse Handley. - E ha scelto suo marito.
- Ma Multivac sa proprio tutto? - insisté cocciuto Norman. - Non potrebbe avere sbagliato?
- Sì, è possibile. Tanto vale che io sia sincero. Nel 1993, un Elettore designato morì di un colpo prima che gli venisse notificata la scelta. Multivac non l'aveva predetto: non poteva farlo. Un Elettore potrebbe essere mentalmente instabile, moralmente inadatto, o addirittura sleale. Multivac non può sapere tutto di tutti fino a che non ha assorbito tutti i dati possibili e immaginabili. Ecco perché si tengono sempre pronte alcune designazioni di riserva. Ma credo che questa volta non ve ne sarà bisogno. Lei è in buona salute, signor Muller, e ci siamo informati bene sul suo conto. Lei è l'uomo adatto.
Norman si nascose il volto fra le mani e rimase immobile.
- Domattina sarà perfettamente a posto - promise Sarah. - Deve soltanto abituarsi, tutto qui.
- Naturalmente - disse Handley.
Nell'intimità della camera da letto, Sarah Muller si espresse in un linguaggio diverso e molto più energico. Il motivo principale della sua predica era questo:
- Norman, cerca di controllarti. Tu stai tentando di buttar via la grande occasione della tua vita!
- Ho paura, Sarah - mormorò Norman, disperato. - Questa faccenda mi fa paura.
- Per l'amor di Dio, ma perché? Che altro hai da fare se non rispondere a un paio di domande?
- La responsabilità è troppo grande.
- Che responsabilità? Multivac ti ha scelto. La responsabilità è di Multivac. Lo sanno tutti.
Norman sedette sul letto in uno scatto di ribellione.
- Tutti credono di saperlo. Ma non lo sanno. Loro...
- Abbassa la voce - Sìbilò gelida Sarah. - O ti sentiranno in tutta la città.
- Non lo sanno - disse Norman, abbassando la voce in un sussurro. – Quando parlano della presidenza di Ridgely, del 1988, parlano forse delle sue promesse non mantenute e della sua politica razzista? No. Parlano del "maledetto voto Mac Comber", come se Humphrey Mac Comber fosse il responsabile di tutto solo per essersi presentato davanti a Multivac. Anch'io mi sono espresso così... solo adesso capisco che quel povero diavolo era soltanto un contadino che non aveva chiesto affatto di essere scelto. Perché la colpa dovrebbe essere più sua che degli altri? Eppure adesso tutti maledicono il suo nome.
- Non essere così puerile! - disse Sarah.
- Sto diventando sensibile. E ti dico, Sarah, che non accetterò. Non possono costringermi a votare, se non voglio. Dirò che sono ammalato. Dirò che sono...
Ma Sarah ne aveva avuto abbastanza.
- E adesso ascolta me! - mormorò, in preda a una gelida ira. - Non devi pensare soltanto a te stesso. Sai cosa significa essere l'Elettore dell'Anno. Significa pubblicità e fama, e un mucchio di quattrini...
- E poi tornerò a essere un commesso qualunque.
- No. Potrai avere un incarico direttivo, se avrai un po' di cervello; e lo avrai, perché ti dirò io quello che devi fare. Potrai controllare la pubblicità, se giochi bene le tue carte, e potrai costringere la Magazzini Kennel a farti un contratto stabile, con una clausola per gli aumenti di stipendio e per una pensione decente.
- Ma non è questo che conta quando si è Elettori, Sarah!
- Per te sarà questo che conterà. Se pensi di non dovere niente a te stesso o a me... e io non chiedo niente per me... pensa almeno a Linda.
Norman gemette.
- No, forse? - insisté Sarah.
- Sì, cara - mormorò Norman.
Il tre novembre fu dato l'annuncio ufficiale, ed era ormai troppo tardi per ritirarsi, anche se Norman fosse riuscito a trovare il coraggio di tentare una cosa simile.
La casa fu sigillata. Gli agenti del servizio segreto la circondarono, bloccando ogni tentativo di avvicinamento. In principio il telefono squillò ininterrottamente, e Philip Handley rispose a tutte le chiamate, con un sorriso di scusa. Alla fine il centralino smistò direttamente le comunicazioni alla centrale di polizia.
Norman immaginò che, in questo modo, gli venivano risparmiate non solo le verbose e invidiose congratulazioni degli amici, ma anche le insistenti offerte dei commessi viaggiatori e l'insinuante gentilezza dei politicanti che cercavano lui, da tutta la nazione... forse persino le minacce di morte da parte degli inevitabili maniaci.
Gli agenti proibirono perfino l'ingresso dei giornali, nella casa, per evitare le pressioni indirette, e staccarono la televisione, gentilmente ma con fermezza, nonostante le proteste di Linda.
Matthew brontolava e se ne stava chiuso in camera sua. Linda, dopo i primi momenti di eccitazione, si era avvilita per la proibizione di uscire di casa.
Sarah divideva il suo tempo tra la preparazione dei pasti e i progetti per il futuro. E Norman si sentiva sempre più depresso. Venne finalmente la mattina di giovedì 4 novembre 2008. Il Giorno delle Elezioni. La colazione era pronta già di buon'ora, ma soltanto Norman Muller riuscì a mangiare, meccanicamente. Nemmeno dopo essersi raso e aver fatto la doccia si sentì restituito alla realtà. Gli pareva di essere sudicio di fuori come si sentiva sudicio di dentro. La voce amichevole di Handley faceva il possibile per distendere una parvenza di normalità in quell'alba grigia e ostile. Le previsioni del tempo parlavano di una giornata coperta, con possibilità di piogge prima di mezzogiorno.
- Terremo isolata questa casa fino a che il signor Muller non sarà tornato - disse Handley. - Ma poi ci toglieremo tutti di torno. - L'agente del Servizio Segreto era in divisa, adesso; e portava al fianco le armi regolamentari, nelle fondine dalle borchie d'ottone.
- Lei non ci ha dato nessun disturbo, signor Handley - fece Sarah in tono affettato.
Norman ingurgitò due tazze di caffè, si asciugò le labbra con il tovagliolo, si alzò e annunciò, con uno scatto:
- Sono pronto. Anche Handley si alzò.
- Benissimo. E grazie, signora Muller, della sua gentilissima ospitalità.
Il carro armato passava ronzando per le strade deserte. Erano troppo deserte, quelle strade, perfino per quell'ora del mattino.
- Provvediamo sempre a dirottare il traffico dal percorso dell'Elettore - spiegò Handley. - Sa, da quando vi fu l'attentato che per poco non rovinò le elezioni Leverett, nel '92.
Quando il carro armato si fermò, Handley, gentilmente come sempre, aiutò Norman a uscirne e lo guidò in un tunnel sotterraneo lungo le cui pareti erano allineati parecchi soldati sull'attenti.
Lo condussero in una stanza molto illuminata, dove tre uomini in camice bianco lo accolsero sorridendo.
- Ma questo è l'ospedale - disse Norman.
- Non ha importanza - ribatté Handley. - E proprio in un ospedale che vi sono tutti i servizi che occorrono.
- Bene, cosa debbo fare?
Handley annuì. Uno dei tre uomini in camice bianco si fece avanti.
- Mi incarico io di tutto, agente - disse.
Handley salutò, familiarmente, e uscì dalla stanza.
- Non vuole sedersi, signor Muller? - chiese l'uomo in camice bianco. – Io sono John Paulson, Calcolatore Anziano. E questi signori sono Samson Levine e Peter Dorogobuzh, i miei assistenti.
Norman strinse le mani a tutti, stordito. Paulson era un uomo di media statura con un volto che sembrava abituato a sorridere sempre, e portava, visibilmente, la parrucca. Aveva occhiali antiquati, cerchiati di plastica.
Accese una sigaretta, mentre parlava, e ne offrì anche a Norman. Ma Norman rifiutò.
- In primo luogo, signor Muller - disse Paulson - lei deve sapere che non c'è fretta. Vogliamo rimanere con lei anche tutto il giorno, se è necessario, in modo che lei si abitui all'ambiente che la circonda e superi qualsiasi dubbio, se ne ha. Qui non c'è niente di insolito né di clinico, se comprende quello
che voglio dire.
- Capisco - disse Norman. - Ma vorrei che tutto finisse in fretta.
- Comprendo il suo modo di pensare. Tuttavia, vogliamo che lei sappia esattamente quello che avverrà. Tanto per cominciare, Multivac non è qui.
- No? - In un certo senso, per quanto si sentisse depresso, Norman si era guardato intorno per cercare Multivac. Dicevano che era lungo mezzo miglio e alto come una casa a tre piani, e che cinquanta tecnici si aggiravano continuamente nell'interno delle sue strutture. Era una delle meraviglie del mondo.
Paulson sorrise.
- No. Non si può trasportare, lo sa. È situato nel sottosuolo, infatti, e pochissime persone sanno esattamente dove si trova. E lei ne comprenderà facilmente il motivo, dato che si tratta della nostra più grande risorsa. Mi creda, non lo adoperiamo soltanto per le elezioni.
Norman capì che l'altro voleva farlo chiacchierare per metterlo a suo agio, ma si sentì imbarazzato ugualmente.
- Credevo che lo avrei visto. Mi sarebbe piaciuto.
- Ne sono certo. Ma occorrerebbe un ordine presidenziale che dovrebbe essere vistato dal Dipartimento della Sicurezza. Tuttavia, noi siamo in contatto con Multivac, per mezzo di un collegamento radio. Ciò che Multivac dice può essere interpretato anche qui e ciò che noi diciamo viene trasmesso direttamente a Multivac. Quindi, in un certo senso, siamo in sua presenza.
Norman si guardò attorno. Le macchine che erano in quella stanza non significavano niente, per lui.
- Adesso lasci che le spieghi, signor Muller - continuò Paulson. - Multivac ha già la maggior parte delle informazioni necessarie per decidere le elezioni, nazionali, statali e locali. Ora ha bisogno soltanto di controllare alcuni imponderabili atteggiamenti della mente umana, e lei è qui per questo. Non possiamo dirle quali domande le rivolgerà, ma queste domande possono non avere un grande significato, per lei o magari anche per noi. Può chiederle cosa ne pensa del servizio della nettezza urbana nella sua città; e se lei preferisce i bruciatori centralizzati. Potrebbe chiederle se lei ha un medico personale, o se si serve dell'Ente Nazionale della Medicina. Mi capisce?
- Sì, signore.
- Qualsiasi cosa chieda, lei risponda con parole sue e nel modo che preferisce. Se pensa di doversi spiegare più ampiamente, lo faccia. Parli anche un'ora, se è necessario.
- Sì, signore.
- Un'altra cosa. Dovremo fare uso di alcuni semplici congegni che registreranno automaticamente la pressione sanguigna, la conduttività della pelle e l'emanazione delle onde cerebrali mentre lei parla. Si tratta di un macchinario imponente, ma lei non sentirà assolutamente il minimo dolore. Non si renderà nemmeno conto di quello che avverrà.
Gli altri due tecnici erano già occupati con un apparecchio lucente, montato su rotelle bene oliate.
- Serve per controllare se mentirò o se dirò la verità? - chiese Norman.
- No, signor Muller. Non è questione di menzogna o di verità. Si tratta soltanto di controllare l'intensità delle emozioni. Se la macchina chiede la sua opinione sulla scuola di sua figlia, lei può dire: "Mi sembra che sia sovraffollata". Queste sono soltanto parole: ma dal modo con cui reagiranno il suo cervello, il cuore, i suoi ormoni e le sue ghiandole sudorifere, Multivac potrà giudicare esattamente quanto sia intenso il suo pensiero al riguardo. E potrà capire i suoi sentimenti meglio di quanto non possa farlo lei stesso.
- Non lo sapevo - mormorò Norman.
- Ne sono certo. La maggior parte dei particolari sul lavoro svolto da Multivac sono tenuti rigorosamente segreti. Per esempio, quando tutto sarà finito, lei dovrà firmare una dichiarazione in cui si impegna a non rivelare mai la natura delle domande che le sono state rivolte, la natura delle sue risposte, ciò che si è fatto e come è stato fatto. Meno si sa, sul conto di Multivac, minore è la probabilità che vengano esercitate pressioni esterne sugli uomini che gli servono. - E sorrise, senza allegria. - La nostra vita è già abbastanza dura anche così.
Norman annuì.
- Capisco.
- Ed ora, vuole mangiare o bere qualcosa?
- No, grazie.
- Ha qualche domanda da rivolgermi?
Norman scosse il capo.
- Ci dica quando è pronto.
- Sono pronto.
- Ne è certo?
- Certissimo.
Paulson annuì, e fece un cenno agli altri.
Spinsero avanti il loro spaventoso apparecchio e Norman Muller si accorse che il respiro gli veniva più affannoso, adesso, mentre lo guardava. La prova durò quasi tre ore, con una breve interruzione per bere un po' di caffè e una imbarazzante seduta con un vaso da notte. E, durante tutto questo tempo, Norman Muller rimase incastonato nell'apparecchio, che gli aderiva addosso tanto da premergli le ossa. Pensò, ironicamente, che la sua promessa di non rivelare niente di ciò che era accaduto era molto facile da mantenere. Già adesso le domande erano una vaga confusione nella sua mente. In un certo senso aveva pensato che Multivac gli avrebbe parlato con una voce sepolcrale, superumana, risonante ed echeggiante, ma, dopotutto, si era trattato di un'idea ispiratagli dagli spettacoli televisivi. La realtà era così poco drammatica da essere perfino deludente. Le domande erano strisce di metallo coperte di punti. Una seconda macchina convertiva le domande in parole e Paulson leggeva le domande a Norman, poi gli passava i fogli con la traduzione in chiaro e lasciava che li leggesse da solo. Le risposte di Norman erano trascritte da un registratore, poi gli venivano sottoposte per una conferma. Le correzioni e le aggiunte venivano registrate con lo stesso sistema. Tutto questo veniva poi passato a una macchina che traduceva le risposte in simboli, che venivano trasmessi a Multivac. L'unica domanda che Norman poteva ricordare sul momento era un pettegolezzo incongruo:
"Cosa ne pensa del prezzo delle uova?"
Adesso tutto era finito. Gli tolsero gli elettrodi da tutto il corpo, con molta delicatezza, gli svolsero la fascia che gli stringeva il braccio, portarono via la macchina.
Lui si alzò, trasse un profondo respiro un po' tremulo, e chiese:
- è tutto? Ho finito?
- Non ancora. - Paulson gli si avvicinò, sorridendo in maniera rassicurante.
- Devo chiederle di rimanere qui ancora un'ora.
- Perché? - volle sapere Norman.
- E il tempo che occorre a Multivac per intessere i nuovi dati ai miliardi di dati che sono già in suo possesso. Si tratta di migliaia di elezioni, lo sa. È un procedimento molto complicato. Può darsi che vi sia qualche contestazione, che la carica di economo di Phoenix, Arizona, o qualche seggio nel consiglio comunale di Wilkesboro, North Carolina, sia in dubbio. In questo caso, Multivac può essere costretto a rivolgerle un paio di domande decisive.
- No - disse Norman. - Non me la sento di ricominciare.
- Probabilmente non sarà necessario - disse con calma Paulson. - Capita molto di rado. Ma lei deve rimanere. - Una punta d'acciaio, appena appena, sembrò affiorare nella sua voce educata.
- Lei non ha scelta, lo sa. Deve rimanere.
Norman sedette; si sentiva privo di forze.
- Non possiamo permetterle di leggere un giornale - disse Paulson. - Ma se vuol leggere un giallo, o se vuole giocare a scacchi o se c'è qualcosa che possiamo fare per aiutarla a passare il tempo, lo dica pure liberamente.
- Oh, non importa. Aspetterò e basta.
Lo accompagnarono in una stanzetta vicino a quella in cui era stato interrogato. Sprofonda in una poltrona ricoperta di plastica e chiuse gli occhi. Doveva aspettare che arrivasse il momento decisivo.
Adesso si sentiva perfettamente sveglio; lentamente la tensione lo lasciò. Il suo respiro si placava, e ormai poteva stringere le mani senza che le dita gli tremassero violentemente. Forse non vi sarebbero state altre domande. Forse era tutto finito. E, se tutto era finito davvero, la prima cosa che sarebbe accaduta, ora... sarebbe stata una fiaccolata e inviti a presenziare ad ogni sorta di funzioni.
L'Elettore dell'Anno! Lui. Norman Muller, semplice commesso di un piccolo magazzino di Bloomington, Indiana, che non era nato grande e non aveva raggiunto la grandezza, si sarebbe trovato nella straordinaria posizione di un uomo su cui si fondava la Grandezza. Gli storici avrebbero parlato sobriamente delle Elezioni Muller del 2008. Perché avrebbero portato il suo nome: Elezioni Muller. La pubblicità, un lavoro migliore, il fiume di denaro che interessava tanto a Sarah occupavano soltanto una parte della sua mente. Tutto questo sarebbe stato benvenuto, naturalmente. Non poteva rifiutarlo. Ma sul momento c'era qualcosa d'altro che cominciava ad interessarlo. Dentro di lui cominciava ad agitarsi un patriottismo latente. Dopotutto, lui stava rappresentando l'intero elettorato. Era il punto focale, per tutti! Per quel giorno lui riuniva nella sua persona tutti gli elettori d'America!
La porta si aprì, ridestando automaticamente la sua attenzione. Per un attimo provò una contrazione allo stomaco. Non altre domande! Ma Paulson sorrideva.
- Tutto fatto, signor Muller.
- Nessun'altra domanda, signore?
- No. È tutto chiarissimo. Ora lei verrà accompagnato di nuovo a casa, e d'ora innanzi lei sarà di nuovo un privato cittadino. O almeno, lo sarà nella misura in cui glielo permetterà il pubblico.
- Grazie. Grazie. - Norman arrossì, poi continuò: - Mi domando... mi domando chi è stato eletto.
Paulson scosse il capo.
- Bisognerà aspettare l'annuncio ufficiale. Le disposizioni sono molto rigide. Non possiamo dirlo nemmeno a lei. Spero che comprenderà.
- Oh, sì, naturalmente. - Norman si sentì imbarazzato.
- Il servizio segreto le darà i documenti da firmare.
- Sì. - Improvvisamente Norman Muller si sentì orgoglioso. In questo mondo imperfetto, i cittadini sovrani della prima e più grande Democrazia Elettronica avevano, per mezzo di Norman Muller - per suo mezzo! - esercitato ancora una volta il loro libero e inalienabile diritto di voto.

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